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CAPO VERDE: diario di viaggio di Fabrizio Mirabella |
Di ritorno dall'Africa per una piccola "esperienza" di cooperazione internazionale in collaborazione tra Università di Venezia e Municipalità di
Praia, ho voglia di condividere alcune riflessioni...
Capo Verde - Africa: 16 Giugno - 15 Settembre 2004
Un mare che si perde all'orizzonte, questo è l'oceano a SANTIAGO. Acqua tutt'intorno. È un luogo senza eguali, la vegetazione è rada, il cielo non è solcato da nessun volatile, né rondini né gabbiani e poche navi nel porto, giusto quelle che portano i rifornimenti all'arcipelago. Su quest'isola ci
si potrebbe perdere. Lontani da ogni continente, dalle coste del Senegal
proviene solo una eco dell'Africa, dall'America Latina il suono di un
miraggio... dall'Europa... un ingombrante cordone ombelicale. Tutto questo per dodici piccole isole in pieno Oceano Atlantico. Eppure la gente vuole vivere, vivere bene, vivere meglio. Dai quartieri informali della capitale a quelli benestanti si riesce a percepire il clima di chi non si vuole arrendere.
Tutti persi in uno sguardo all'oceano, oltre l'orizzonte, nell'attesa di un
"buon veliero". Quelli che nel passato ormeggiavano a centinaia prima di
tentare la traversata oceanica.
Così si consuma un rapporto iniziato cinque secoli fa tra chi dimora qui e gli
stranieri, di passaggio, sempre di passaggio!
Tanti su quei velieri ci sono saliti, senza far ritorno, tanto che qualcuno
oggi conta più capoverdiani nel mondo che in queste isole.
Eppure, a questa terra sperduta nell'oceano, difficile, arsa dal sole e
solcata dai venti africani continuano a pensare con sguardo nostalgico tutti
quelli che l'hanno nel cuore. Tanto da ritornare prima o poi su queste coste. A volte anche dopo decenni di permanenza in "terre straniere". Come ogni favola inizia con un "c'era una volta..." anche in questa "avventura" potremmo iniziare in questo modo. C'era una volta un sogno che aveva bisogno di sognatori...
...c'era una volta un sognatore che aveva bisogno di una terra per sognare...
Tanti sono i motivi per cui si parte per una esperienza del genere. Dentro c'è
una vocina che ti spinge a partire. Hai tutto ma non ti basta, senti la
voce di un continente che pronuncia il tuo nome.
Dopo sette mesi di preparazione nella città di Venezia per essere pronto ad
affrontare le situazioni più varie di povertà che si possono incontrare nei
Paesi in Via di Sviluppo (la buona volontà da sola non basta!) è arrivata la
partenza. Nulla di facile, nulla di scontato. Partire per una metà
sconosciuta per provare a dare una risposta a numerose domande. Pensavo la
più importante di queste fosse: "Perché esiste la povertà? Quali sono le
cause?" ma... Così il 16 giugno sono atterrato a 5.000 km da casa in una terra sconosciuta. Clima torrido... senza conoscere nessuno. Bagaglio leggero... solo "l'essenziale!". Quello che è invisibile agli occhi. Quello che basta per
sognare. Un sogno che si è tramutato nelle difficili condizioni ambientali che ho
trovato. L'obiettivo che era (ed è) davanti è impegnativo. Riuscire a
migliorare le condizioni sociali in uno dei quartieri clandestini più
popolosi di Praia, la capitale di questo arcipelago noto soprattutto per il
mare fantastico e le spiagge infinite ma...
In poche ore sono passato dalla mia terra sempre ospitale ad... un'Africa che
non è Africa, in una città che non è una città!
Eugenio Lima è stato il quartiere dove abbiamo lavorato (eravamo in cinque) per tre mesi. Settemila anime, un quartiere dove la povertà vista con gli occhi di un
bianco occidentale non po' essere facilmente descritta. Condizioni di vita
difficili, per tanti inimmaginabili. Scene che ho dovuto vedere (con
protagonisti soprattutto bambini ed anziani, le due categorie più deboli!)
tante volte descritte nei libri degli ultimi mesi ma... adesso davanti a me
c'erano volti non statistiche: Filismina, Militina, Joao, Margarita, Luis,
Filisberto... Camminare per un quartiere clandestino (clandestino poi perché e per chi, è tutta una storia da decifrare!) non è cosa di tutti i giorni eppure è stato il mio "pane quotidiano" per tre mesi!
I viaggiatori del mondo raccontano sempre i volti allegri delle terre più
desolate, stavolta vi porto nel mondo delle favole tristi dove la mattina si
deve litigare per la fila al fontanario pubblico, unico sistema di
approvvigionamento di acqua per questi abitanti che non hanno scelto
direttamente la loro condizione di vita.
C'è sempre una realtà misteriosa nelle culture degli altri che a noi sfugge.
Sarà perché siamo vissuti all'interno di una mono-cultura, un pacco
pre-confezionato, senza avere grandi possibilità di confronto con il
diverso. Codici culturali e religiosi diversi dai nostri. Eppure il pensiero
che la ricchezza che dalla diversità può nascere all'interno di un progetto
di convivialità non mi ha mai abbandonato.
La povertà non è una vergogna è semplicemente un'ingiustizia. È una
ingiustizia perché al mondo c'è "ricchezza" per tutti ma la maggiore parte,
in mano a pochi, è il frutto dei torti, storici, sociali, economici, fatti a
chi oggi non ha la sicurezza del futuro. La povertà non è de-privazione
materiale. La povertà è insicurezza nel vivere, è vulnerabilità alle
incertezze della vita, è "non abilità" a reagire alle difficoltà.
Un pane quotidiano, da mandare giù, all'inizio indigesto.
Credere alle voci di ragazze "violentate" in abitazioni troppo piccole per
contenere tanta diversità. Immagini sempre stampate di bambini che giocano
con palloni improvvisati a piedi nudi sulla terra ardente di questo sole
d'Africa, tra le immondizie, i liquami umani e di origine animale non è un...
"dono" di tutti i giorni. Passare ore della giornata in mezzo ai rifiuti,
alla spazzatura mentre potevo essere in vacanza... in certi momenti chiudevo
gli occhi e mi immaginavo altrove. Forse dietro una scrivania o su una
spiaggia ma... Il pane quotidiano è stato anche... ...il centro sociale comunitario di Monte Pensamento è un luogo di aggregazione ma principalmente è lo strumento col il quale poter dare una
speranza agli abitanti di quel quartiere. Mi sono trovato per alcuni giorni
a seguire le loro attività. È stato straordinario poter vedere i corsi di
formazione organizzati per le giovani donne madri sulla conduzione della
casa e sull'alimentazione dei neonati. Ho incontrato un vecchio medico che
spiegava alle giovani i tempi dell'allattamento obbligatorio per una
corretta crescita dei bambini. Ma anche questa che è una conquista
dell'umanità, scontata per noi, è una lotta quotidiana in un'area dove ci sono
aziende (denunciate della Organizzazione Mondiale della Sanità) che
distribuiscono e commercializzano latte in polvere senza vergogna con la
protezione del "libero mercato!". Forse il concetto di "libero mercato"
andrebbe rivisto. E allora le domande nascevano spontanee: "Dov'è la libertà
quando tantissimi neonati vengono debilitati dalla diarrea perché nutriti
con latte in polvere diluito con acqua sempre inquinata e per di più senza
il sostegno di anticorpi e nutrienti che il latte materno potrebbe dar
loro?". E l'allegria di quella terra si traduce nel canto delle donne che, con il
ritmo del Batuk, tipica danza locale, trasmettono messaggi di speranza.
Ma Capo Verde non è solo allegria... dodici isole in un angolo dell'Atlantico ma
dove di verde non c'è niente!
In tanti mesi ci ha fatto compagnia Joao. Una persona sempre sorridente, è
stato sempre bello incontrarlo per il quartiere.
Un giorno siamo stati a casa sua perché avevamo bisogno da lui di alcune
risposte ed invece... è stato lui che ad un certo punto poneva le domande.
Joao è un muratore che vive in Achada Eugenio Lima con la moglie e i sette
figli. Come tutti ha alle spalle una storia di immigrazione in questa città,
Praia, la capitale. Dall'entroterra dell'isola di Santiago per... la speranza
di un futuro migliore, per se, per la sua famiglia, per i suoi figli. Da
lontano le luci della città fanno sognare e immaginare una situazione
migliore di vita. Prima ci ha invitato a bere una birra al bar, che, con il gran caldo, non si poteva certo rifiutare, poi siamo entrati nella sua dimora dove abbiamo conosciuto parte della sua famiglia e della sua storia.
Lui è un clandestino. Qui a Praia essere clandestini significa aver
costruito abusivamente la propria casa in uno stato, quello di Capo Verde,
che prevede nella sua costituzione il diritto ad una dimora dignitosa per
tutti i capoverdiani (ma il suono di quell'articolo è come quello di
un'altra costituzione che dice che l'Italia è un paese fondato sul
lavoro... ugualmente... una mezza verità).
Ci illustra la sua storia di clandestino. La casa è quella classica di tutto
il circondario. Mattoni di cemento, un po' di ferro, vari materiali di
fortuna ma... essere clandestini ti regala un destino particolare. Costruire
in clandestinità significa doverlo fare di notte, quando ci si vede poco e i
lavori non possono essere fatti a "regola d'arte". I ferri delle travi
sono scoperti e dalle mura trasuda terra per la scarsa qualità dell'impasto.
Joao ci tiene a dirlo: "Io sono pedreiro, muratore, conosco il mestiere,
lavoro nelle costruzioni da anni, so come si fa un impasto e come andrebbe
costruita una casa ma... non ho l'autorizzazione comunale per farla e
quindi...". La storia si complica... ...dopo due mesi passati tra scartoffie, negli uffici, Joao ci pone l'ennesimo punto di vista, duro. Molto duro.
"Ho quarantatré anni, qui a Capo Verde la vita non dura come nei vostri paesi
occidentali, povertà è essere vulnerabili al destino... sono un padre di
famiglia, come ogni padre del mondo vorrei lasciare qualcosa ai miei figli
perché loro possano partire anche solo un passettino più avanti di me. Il
desiderio almeno di lasciare una casa solida ma questa... conosco il mio
mestiere... è destinata a cadere. Sto investendo su un lotto poco distante da
qui ma il comune più volte mi ha multato e sono oramai dodici anni che questa
storia va avanti. Ho investito circa 1000 euro in quel terreno (una cifra
pazzesca a Capo Verde per gran parte della popolazione) ma... non mi danno il
permesso e qui a Capo Verde non si ha neanche il tempo di darsi alla
disperazione". Conosco il lotto di Joao, come oramai ogni centimetro del quartiere e quasi ogni suo segreto. Joao sa il suo mestiere ma quello che non sa è quello che qualcun altro gli dovrebbe dire. Purtroppo il Piano Regolatore Municipale prevede, da circa quindici anni, che sul suo lotto passi una strada e quindi non è possibile costruire. Chissà se quella strada verrà mai fatta... intanto Joao continua a vivere tra quattro mura degne, ma cadenti.
La sua, una storia tra tante, ma in tutte le famiglie che ho avuto la
fortuna di visitare ho sempre trovato tanti volti espressivi ogni volta
aperti. Capita anche vedere qualcuno mettersi a piangere davanti a te
cercando di velare le lacrime con le mani perché... la vita è difficile... e
allora l'impotenza di fronte ai problemi del mondo diventa un macigno
difficile da sopportare a meno che...
Camminare nei quartieri clandestini, informali, spontanei, di Praia è una
bellissima esperienza. Respirare la puzza della povertà... la puzza dell'Africa.
Ho mangiato polvere dalla mattina alla sera, quella del deserto e
quella della terra di questa isola che oramai è secca all'inverosimile. La
sera molto spesso si cadeva nel letto in preda alla stanchezza. Tre mesi in un'isola tropicale e se dico che sono stato solo poche volte a mare non sono
sicuro di essere creduto. Certo nulla ripaga l'ebbrezza di salire nel nostro quartiere (così battezzato per la familiarità che si è creata da subito con la comunità locale) alle 14 del pomeriggio, sole alto che ti ammazza e sembra dirti:
"Uhe! Guagglio! Mo' te faccio vedere io se è questa l'ora di uscire per
strada" e si mette a picchiare in testa a più non posso;
...forse sono partito proprio per questo. Oramai rimaniamo rintanati nelle
nostre presunte sicurezze quotidiane, non rischiamo più, non abbiamo nulla
per cui valga la pena lottare, tutti sono sempre gli stessi e... c'è poca
fantasia in giro, quella che ti fa credere che il bello deve essere qualcosa
ancora da scoprire e ti fa lavorare per raggiungerlo. Poi semmai sono solo
un sognatore con un sogno tanto grande che tutto il mondo non riesce a
contenere, per questo ho bisogno di girarlo "tutto il mondo".
Beh, piccolo come sogno! Senza una propria terra, forse senza persone vicino, forse in solitario, forse senza futuro, forse senza tante altre cose che ho sempre immaginato essere le sicurezze della vita ma... ...un orizzonte ben chiaro: partire per dare una mano, per cambiare le cose, per dire "Io non ci sto!". Partire perché la fantasia non mi dice altro.
Perché pensi di aver ricevuto così tanti doni dalla vita che non riesci a
tenerli solo per te stesso. Partire, come fanno in molti, mettendo in
discussione, prima di ogni cosa, se stessi.
Mesi fa ero in un piccolo angolo della laguna veneta, eravamo in ventisei, tutti
pronti per la partenza in direzione dei quattro angoli della Terra. Ognuno
proveniente da mondi diversi, ognuno con motivazioni differenti. Quella sera
di primavera c'erano tanti sorrisi ma anche tanta tensione... per quello che
ci apprestavamo a fare. Un amico quella sera mi ha regalato i versi di una
canzone: "Un giorno, guidati da stelle sicure ci ritroveremo in qualche angolo di
mondo lontano, nei bassifondi, tra i musicisti e gli sbandati o sui sentieri dove corrono le fate". Da allora non ci siamo più rivisti... forse un giorno ci rincontreremo... e avremo molto da condividere!
Abbiamo una grande occasione per reinventarci il futuro, il nostro futuro, e
non rifare il cammino che ci ha portato all'oggi e potrebbe domani portarci
al nulla. Siamo partiti con uno zaino leggero da Venezia, ognuno con in mano un
biglietto aereo... ...senza data di ritorno, per quello che ad aggi è solo il nostro sogno. Partire come "cooperanti in prova", quegli esperti internazionali in
cooperazione allo sviluppo quali non siamo e forse non saremo... ...ma questo non è un mestiere... ...è una missione... ...che spero abbia radici profonde.
Capo Verde è stata colonia portoghese fino al 1975 ma, credo, il colonialismo esiste ancora. Solo ha cambiato nome. In un angolo di Africa si riesce a vedere con chiarezza perché un continente è da tanto in via di sviluppo (non da sempre). Perché è sempre in guerra... perché ha tanta fame... perché esistono le malattie... perché è tanto povero. Tutto si schiarisce. Dall'Europa, dall'Italia, da Eboli, da casa mia non è facile comprendere certe cose.
Andare su una spiaggia tropicale e sentirsi "uomo di colore", il primo
impatto non è divertente e me ne ricorderò a lungo. Poi passano i giorni e
la società creola di Capo Verde sembra l'ombelico del mondo: uomini di ogni
tribù, popolo e nazione della Terra: FANTASTICO! Alla faccia di chi su
questa Terra vuole chiuderle le frontiere, agli immigrati, agli esiliati, ai
"poveri cristi" di tutto il mondo, qui ho trovato la convivialità delle
differenze! Ricordo che a Praia alle 12:00 del 23 luglio 2004 ha iniziato a piovere! Un evento straordinario. Per pochi minuti piccolissime gocce di pioggia
hanno bagnato il suolo. Iniziava ufficialmente il periodo delle piogge. Che
sensazione strana, aspettavamo anche noi questo giorno da un po', ma non
riusciremo mai a comprenderlo fino in fondo. La pioggia nel deserto!
Per strada, nel parco giochi vicino casa, tantissimi bambini festeggiano e
urlano per la gioia. Tutti sembrano essere contenti eppure... quando siamo
tornati nel quartiere di Eugenio Lima, tutto fatto di terra, secco, pieno di
polvere abbiamo trovato un mare di fango che invadeva case ed abitanti.
Qual è la logica del mondo mi chiedevo nel continente africano: L'amore per
chi pensa umanamente è un affare in perdita. Tutto da perdere e nulla da
guadagnare. Se dai fiducia cosa ne ricaverai se poi ti "menano la sola?".
Nulla! E allora frega il prossimo tuo come il prossimo tuo frega te! Ma è
questa felicità?... vedo da lontano le risposte... vedo da lontano che c'è una sola risposta... dare a piene mani tutto l'amore che hai dentro, in ogni luogo, in
ogni situazione, non perdere mai di vista l'unica forza che può che può
realizzare il progetto di salvezza dell'Uomo di Nazareth.
Tre mesi dopo la partenza mi ritrovo con una infinità di interrogativi sulle
spalle. Certo pesanti, intanto il lavoro da svolgere non è terminato e
sapere che da questo lavoro può dipendere il miglioramento delle condizioni
di vita di migliaia di persone mi carica di responsabilità.
Davanti a certe situazioni di povertà e sofferenza gli interrogativi
lasciano il tempo che trovano. Poche soluzioni da mettere in campo, una tra
queste rimboccarsi le maniche e partire! In una pagina di un vecchio libro ho scoperto il segreto della vita: "Forestiero dove vai?" rispose - "A cercare Dio!".
Fabrizio Mirabella
fab313@libero.it
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