Ancora una volta ho perso il treno
"Ancora una volta ho perso il treno"
di Cosmo de La Fuente (Torino)


Non so quante siano le donne che in un momento di rabbia dopo la separazione decidano di penalizzare i propri figli danneggiando non solo l'ex coniuge ma anche, e soprattutto, i propri figli. Figli che diventeranno adulti e probabilmente capiranno la violenza a cui sono stati sottoposti. Volenti o nolenti il padre sarà padre per sempre. La mamma è la persona più importante per un essere umano ma quando scompare un padre che è stato molto presente, una figura dal carattere forte, i figli improvvisamente capiscono che è giunto il loro turno d'incamminarsi lungo la tortuosa strada della vita, da soli. Orfani della sicurezza del proprio genitore e un po' sbatacchiati nel vivere giornaliero, si avventurano come incerti tigrotti incoraggiati e spinti dalla madre per la prima caccia della loro vita. Mio padre era un uomo molto attivo, lo ricordo sempre intento a fare qualcosa, mi sembra di rivederlo tanti anni fa in Venezuela intento a tagliare numerosi strati di stoffa per realizzare giacche che poi vendeva ai suoi clienti proprietari di "tiendas" del centro popolare di Caracas. Le enormi forbici nere le conservo ancora, fanno parte di lui, erano il prolungamento della sua mano destra. Io e mia sorella ringraziamo Dio per averlo avuto durante gli anni della nostra infanzia, il suo amore e la sua protezione ci hanno fatto crescere sani e sicuri, ringraziamo soprattutto nostra mamma che, sebbene anche lei come tutte le madri avesse la possibilità di far valere il suo potere sui figli, non ci ha mai privato dell'amore di nostro padre, dolcissima e intelligente nel capire che l'amore è sempre amore. Quando papà tornava a casa gli correvamo incontro e buttandogli le braccia al collo urlavamo felici : -papà- anzi, alla venezuelana: -papato-. Se cucinava lui era una festa e il sapore che dava ai piatti era diverso, ci piaceva moltissimo. Nessuno potrà mai cancellare quei momenti che ha saputo donarci. Qual è il significato della morte? Non lo conosco, lui è vivo più che mai, presente nelle cose di tutti i giorni e nelle decisioni difficili, riesce sempre a farci giungere un segnale, nascosto in un ricordo, come un intricato rebus da risolvere. Siamo figli fortunati perché ci è stato concesso di conoscerlo a fondo e di godere dello speciale amore che un padre può dare. Chissà che sogni aveva quando diciottenne emigrò, osservo spesso la foto in cui è su quella nave che lo stava portando in quel paese dove saremmo nati noi. Mi torna in mente quando andavo in auto con lui per le strade di Caracas, sulla Ford Firline 500 azzurra, priva di aria condizionata, il caldo era soffocante, sentivo l'odore della finta pelle dei sedili sul punto di fondere, lui era sempre assorto nelle guida, chissà a cosa pensava. Dal finestrino osservavo le solite scene di vita venezuelana, tantissimi negozietti d'abbigliamento e cafetines, marciapiedi semi distrutti, tanta gente ferma ai chioschi per un dissetante succo di frutta tropicale o per una empanada, voci, note musicali di salsa e merengue provenienti dalle radio delle altre auto e dagli hi fi transistor che i passanti tenevano in mano. Era curioso vedere tutte quelle persone ondeggiare al ritmo di Cuando salì de Cuba, la bellissima canzone di Celia Cruz. Come vorrei rivedere il mio genitore scomparso mentre si arrampica sulla palma di cocco in spiaggia, - com'è forte il mio papà, sembra spiderman - pensavo, quando ritornava giù era tutto graffiato nelle gambe ma cercava il mio sguardo per godersene l'ammirazione.

Racconto di vita e pensieri di Cosmo de La Fuente
cosmo@cosmodelafuente.com
 

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